TUTTO QUEL CHE E’ LA VITA, di James Salter
Dopo la fine della guerra, il giovane Philip Bowman trova un appagante lavoro nel campo dell’editoria e sposa una ricca ragazza di campagna, ma quando la strada di questa vita perfetta inizia a farsi accidentata, Phil ne perde il controllo e diviene passivo spettatore degli eventi del suo destino.
Amaro e malinconico ritratto di un uomo destinato alla solitudine, disincantata descrizione dell’ambiente dell’editoria, nel quale il destino dei cosiddetti capolavori è determinato dai capricci di chi li può pubblicare, Salter posa il suo sguardo pessimista anche sulla vita degli americani della Middle Class, visti perennemente col bicchiere in mano o nell’atto di entrare o uscire nel o dal letto di qualcuno che presto dimenticheranno; la vicenda principale si intreccia, senza vera continuità, con quelle di personaggi secondari creando un effetto caotico che rispecchia la complessità della vita quotidiana e di tutte le relazioni sociali che la animano, rendendo la lettura un po’ faticosa, ma forse anche questo è un effetto voluto.
L’idea che la vita sia tutto e solo questo mette un po’ di tristezza ma la lettura in questione è di spessore e non annoia, anche se non la consiglierei ai lettori occasionali.
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