ULISSE, di James Joyce
Immaginate di essere di fronte ad un notissimo negozio nel centro della vostra città, molti ne parlano, ma praticamente nessuno dei vostri amici lo ha mai visitato.
Incuriositi, decidete di entrare… il negozio, in teoria, propone articoli già reclamizzati altrove, quasi banali, ma la meraviglia e lo stupore vi colpiranno praticamente appena varcata la soglia: capirete di non essere insomma in uno dei soliti negozi, bensì in un vero e proprio scrigno di tesori.
Per me, l’Ulisse è stato (anche) questo: il racconto di una giornata, il 16 giugno 1904, vissuta da Lepold Bloom, irlandese, in quel di Dublino, e da altri personaggi quali la moglie, l’amico Stephen Dedalus, e altri.
Eventi tutt’altro che straordinari, dalla colazione ad un funerale, passando per una capatina in bagno o una visita al bordello.
La meraviglia, e l’incredibile complessità e profondità del testo, risiede però nel modo di raccontare messo in pratica da Joyce: molteplici stili e registri letterari, dal teatro alla parodia dello stile epico fino al menzionatissimo flusso di coscienza. Centinaia di rimandi ed allusioni a fatti e dottrine storiche, letterarie, filosofiche, scientifiche, politiche e religiose.
Una corrispondenza, a volte evidente altre volte quasi impalpabile, con il capolavoro omerico, tra le parti del corpo umano… insomma, una vera e propria opera universale.
L’Ulisse altro non è, nella mia modesta opinione, che la rielaborazione del nostro universo umano. Un capolavoro che tutti, almeno una volta, dovrebbero provare a leggere. Il ricorso a note, edizioni critiche e quant’altro rimane a mio parere imprescindibile (se studiosi da tutto il mondo continuano a scrivere opere sull’interpretazione del libro, sarebbe quantomeno presuntuoso credere di “capirlo alla prima”… ma tentar non nuoce!).
Recensione di Marco Garbarino
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