ULTIMO RESPIRO Robert Bryndza

ULTIMO RESPIRO, di Robert Bryndza (Newton Compton)

Era un po’ che non avevo il tempo di leggere (per diletto), e quindi ero partito quasi “a colpo sicuro” verso questo titolo. Si tratta del quarto episodio della saga dedicata a Erika Foster, l’eroina creata da Bryndza, e di cui avevo già fatto una recensione tutto sommato positiva qui sul gruppo, la potete trovare usando la funzione di ricerca.

Questa volta, purtroppo, non posso essere così positivo. No, proprio non posso.

L’impressione che ho avuto leggendo questo libro è che Bryndza abbia dovuto, “per contratto”, scrivere una storia, ma l’ispirazione era evidentemente in vacanza. La cosa che mi ha dato più fastidio, però, è il ricorso a espedienti per “allungare il brodo” che veramente non sono verosimili.

Ad ogni modo, la storia, relativa a un serial killer alquanto improbabile ed estremamente fortunato a non essere preso in tempo zero per le cazzate che fa, è ambientata come al solito a Londra e dintorni, viene raccontata nella classica terza persona al passato remoto, e si snoda in circa 340 pagine.

Lo stile è quello solito di Bryndza, veloce e scorrevole senza troppi approfondimenti a luoghi e persone, cosa che in un thriller va bene. Questo non vuol dire che i personaggi non siano caratterizzati, anzi: quando necessario, però, scende nel particolare, senza annoiare. Tutto il contrario di Wilbur Smith, per esempio, che nel bel mezzo dell’azione ti butta giù due pagine per descrivere con minuzia di dettagli tutte le sfumature di rosso del tramonto africano… che sarebbe anche bello, ma quando hai la protagonista nuda come un verme che scappa nella savana, che sta nascondendosi dai felini predatori, e da umani ancora più predatori, magari non è il top dell’interesse in quel momento!

Brybdza non la tira per le lunghe in questo modo, ma, considerando i risultati, forse sarebbe stato meglio lo avesse fatto. A metà libro inserisce un colpo di scena che, considerando tutte le coincidenze geografiche e logistiche che comporta, è talmente inverosimile che un allibratore la darebbe 100 a 1. In pratica il lettore viene indotto a pensare che “adesso lo beccano, quindi l’altra metà del libro verte su qualcos’altro”, e invece tutto si risolve in una bolla di sapone utile solo a far fare un cazziatone alla protagonista, e la storia prosegue senza sussulti.

Il sussulto, per le ragioni sbagliate, invece arriva all’altro colpo di scena, quando, per comprare tempo per l’azione, accrescere la suspense, e imboccare la polizia, una delle vittime fa una cosa che l’allibratore di cui sopra la darebbe addirittura 1000000000 a 1. Situazione: sei una ragazza, ti hanno appena rapita e ti risvegli all’interno del portabagagli dell’auto del killer, senza essere legata e addirittura col telefono cellulare a portata di mano. Cosa fai? Io sono certo di cosa farebbe qualunque donna col QI superiore a quello di un macaco, ma questa donna, la nostra vittima, anziché chiamare la polizia, chiama la sua amica, che ovviamente ha il telefono spento, e alla quale lascia quindi un messaggio confuso in segreteria. Poi basta, resta in paziente attesa del suo destino.

Ora, si può passare sopra una storia non particolarmente originale, su alcuni cliché a volte un po’ troppo evidenti, e anche su alcuni tentativi di portare le cose per il lungo, ma abusare in questo modo della credulità del lettore è offensivo. Un po’ come, nei film dell’orrore, i personaggi rimasti isolati un una casa sperduta nel nulla, fanno la cazzata tipo: uno di loro, senza dire nulla a nessuno, scende da solo nello scantinato buio dove ha sentito dei rumori, armato solo di sputi e di un moccio di candela!

Ecco, questa cosa è quella, che più di tutte ha pesato sul mio giudizio. Va bene una certa sospensione dell’incredulità, ma a tutto c’è un limite. Tra l’altro, di ulteriori minchiate implausibili ne vengono raccontate anche altre, e quindi il risultato finale è abbastanza deplorevole.

È un peccato, perché comunque Erika Foster è un personaggio che si fa voler bene, e chi ha letto gli episodi precedenti si sente tradito da una narrazione del genere. Ad ogni modo, se uno vuole leggere per svago, ma in questo caso davvero per svago e nient’altro, è un libro che si fa leggere bene e velocemente. Anche al netto di errori di traduzione, digitazione e punteggiatura, ma questo non è colpa di Bryndza ma di Newton un-grande-thriller Compton.

Probabilmente comprerò anche il quinto capitolo, per dargli la prova di appello, ma se l’andazzo sarà confermato mi troverò, mio malgrado, costretto ad abbandonare l’autore.

Recensione di Mitia Bertani

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