
UN BENE AL MONDO, di Andrea Bajani (Feltrinelli)
“Per i bambini che siamo stati.
E per quelli che, crescendo, siamo diventati.”
È questa la dedica che Bajani pone in esergo alla sua opera, che inizia con un “C’era una volta…”. Ma ci avverte subito che non è una favola per bambini!!
E così, al termine della narrazione, lo ribadisce:
“Ma questa non è una favola per bambini, e qui seduto al tavolo c’è un uomo che scrive. Accanto a lui c’è una finestra. Oltre la finestra c’è una città qualsiasi, come tutte le città.”
Quell’ uomo è stato un bambino che, una volta, ha percorso le strade e le piazze di un paese, ha camminato lungo il fiume e nei boschi portando sempre con sé il suo dolore. Anche il dolore è un cucciolo, che corre, salta, scodinzola, si accuccia sotto il tavolo e dorme appoggiando la testa ai piedi del suo padrone.
Crescerà il bambino e diventerà un uomo, insieme a lui anche il dolore crescerà, avrà una stazza molto più grande e sarà un po’ spelacchiato.
La magia di questo racconto fa sì che questa metafora dolore/cane susciti in noi immagini ben delineate di un cane che vive accanto ad un bambino e contemporaneamente provochi in noi emozioni profonde in empatia con la solitudine e la fragilità di questo essere umano.
Ci chiediamo il perché di questo dolore: da dove viene? quale rapporto ha con il feroce dolore di un padre o quello muto di una madre, entrambi assenti e come vuoti?
Ma ci accorgiamo ben presto che la metafora è universale: ogni essere umano è seguito dal suo dolore, come l’ ombra.
Certo,” ci sono dolori che non fanno male a nessuno, e altri , come quello del padre, che potrebbero ammazzare” .
E ci domandiamo ancora se possa esistere un rifugio, un conforto.
“Poi tutte le volte tornavano a casa e il bambino si chiudeva nell’unico posto in cui si sentiva al sicuro, che non era un luogo, ma un sentimento, ovvero la nostalgia. Di quel sentimento il bambino aveva tutte le chiavi.”
Chiudersi lì dentro, insieme alle cose belle che erano successe, poteva essere quella la felicità.
La cosa più bella ( o forse l’unica ) che gli era successa era stata incontrare la bambina sottile, anche lei con il suo dolore spelacchiato. Però lei lo lasciava dietro la porta di casa e se ne allontanava un po’, sollevata.
“Quel dolore lasciato a casa era il loro segreto, e il bambino sapeva che un segreto condiviso trasforma un incontro in una cosa importante.”
Da quel momento tutto per il bambino assomigliava alla bambina sottile!
Il dolore e l’ amore, dunque!
E come nelle favole il tempo, un giorno o cent’anni , passa in un attimo e ritroviamo il bambino diventato uomo che vive in una città . Anche la città, come il paese dove viveva da bambino, ha solo questa denominazione, nessuna connotazione…eh, sì nelle favole succede…o, come dice Bajani, sono posti che “non stanno da nessuna parte”.
Però la città è come un estraneo, fa un po’ paura, è straniante. Ci vuole tempo, coraggio a guardare, e finalmente ” ogni sera rovesciò la città sbriciolata in lettere e parole” in un foglio di quaderno indirizzato alla bambina.
In modo quasi impercettibile, l’uomo si incammina in spazi sconosciuti della città ed insieme nella poesia. Non può che essere così: scavare nel proprio dolore porta a scoprire quello degli altri, di ogni essere umano. E non solo: le scoperte divengono infinite in altrettanti frammenti di vite e di storie.
“Dallo zaino vennero fuori un fischietto e un vetro rotto, poi un fiore preso da una tomba e il laccio di una scarpa. E ancora: la sirena di un’ambulanza, un grido, le scarpe di un neonato che nessuno avrebbe mai messo. Poi un sussurro, lo spiffero sotto la porta, due parole rotte e una di consolazione, l’alba, l’odore acido della paura e una dichiarazione d’amore disegnata sopra uno scontrino. Il dolore le rovesciò sul letto. L’uomo le distribuì per la casa, poi guardarono l’insieme e pensarono che così poteva andare. Quindi si abbracciarono, e con lo zaino vuoto il dolore ripartì”.
Dunque, è una fiaba o no? Certo che lo è, ma non per bambini. Per gli esseri umani adulti che hanno bisogno ugualmente di una realtà” parallela” per interpretare meglio l’ esistenza. O, per riutilizzare a modo mio una metafora di Bajani, vedere che ” il buio si stava rompendo e tra le crepe s’intravedevano dei pezzi di giorno”.
Recensione di Maria Guidi
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