UN GENTILUOMO A MOSCA, di Amor Towles
“Aleksandr Ilic Rostov, […] saremmo inclini a farla portare fuori da questa sala e metterla al muro. Ci sono alcuni dei rappresentanti anziani del Partito, però, che la considerano tra gli eroi della causa prerivoluzionaria. È quindi opinione di questo Comitato che lei debba fare ritorno all’albergo che tanto le piace. Ma non faccia errori: se mai dovesse mettere un piede fuori dal Metropol, sarà fucilato. Avanti un altro.”
Letto su indicazione di un amico, questo libro di cui non sapevo nulla e del cui autore non avevo mai sentito parlare. Ho scoperto solo dopo che è invece famoso e che ha ottenuto grande successo ma si sa, io con i contemporanei arrivo sempre in ritardo…Si è rivelato una gradevolissima sorpresa, un romanzo di qualità molto superiore alle mie aspettative, che essendo piuttosto elevate rischiavano di rimanere deluse. E invece.
“Un gentiluomo a Mosca” racconta quarant’anni di vita del conte Alexander Rostov il quale all’inizio del secolo scorso viene travolto anche lui dalla Rivoluzione d’Ottobre. Condannato dal comitato rivoluzionario per la sola colpa di essere un aristocratico gli viene però risparmiata la vita e condannato agli arresti domiciliari…al Grand Hotel Metropol di Mosca, l’albergo più lussuoso e famoso forse di tutta la Russia. Anche se prigione dorata si possono definire questi domiciliari (niente di paragonabile, certo, al destino toccato ad altre migliaia di nobili) sempre di privazione della libertà e dunque di prigione però si tratta anche perché le condizioni sono ferree e il Conte Rostov (che cognome tolstojano… d’altra parte Tolstoj fa spesso capolino nel romanzo, soprattutto con Anna Karenina…) sa che con quella gente c’è poco da scherzare.
Il motto di Rostov, che lo sosterrà per decenni è che “se un uomo non è in grado di governare le proprie circostanze, allora sarebbero state le circostanze a governarlo”.
Superati quindi i primi mesi ecco che il Conte Rostov riesce a trasformare l’Hotel Metropol di Mosca in un mondo ricco di cultura e conoscenza e questo anche grazie a personaggi più svariati come Emil il cuoco, Miriam la sarta, la ragazzina Nina che è la prima a fargli conoscere tutti i luoghi più segreti del Metropol e tanti altri. Alcuni che risiedono e lavorano nell’albergo, altri che vanno e vengono.
Gli anni trascorrono, i ragazzini diventano adulti, gli adulti diventano maturi, alcuni invecchiano e le loro storie si intrecciano alla Grande Storia della rivoluzione bolscevica e della nascita dell’Unione Sovietica, alle storie di lager, di carestie, di persecuzioni staliniste ma allo stesso tempo facendo intravedere la grandiosa opera di rinnovamento nello sforzo di portare la Russia fuori dal medioevo per diventare una potenza mondiale. Rostov, nella sua prigione di lusso, nel suo carcere a vita, deve a un certo punto riconoscere che proprio questa condanna ha contribuito a salvarlo. Lo capisce bene il suo più caro amico il quale, reduce da un lager, gli dice con una punta di amarezza «Chi avrebbe mai immaginato, quando ti condannarono alla detenzione a vita nel Metropol, così tanti anni fa, che eri appena diventato l’uomo più fortunato di tutta la Russia!». Si parla anche molto, nel romanzo, di letteratura (tanto Tolstoj, ma anche Dostoevskij e Cechov ma anche Majakovskij…) di musica e di pittura.
Non dico nulla del finale, di come si concluderà la storia personale del Conte Alexander Rostov, di Nina, di Sofja, di Emil e di di Miska. Dico solo che è un finale che a me è sembrato malinconico, sereno e molto bello.
Un libro che racconta in maniera leggera, ironica e a tratti anche molto spassosa, storie personali anche tragiche che si snodano sullo scenario di mezzo secolo di storia della Russia (e che Storia!). Una leggerezza che non deve ingannare perché esprime molta profondità. Una delle letture di narrativa risultate per me tra le più piacevoli e gratificanti di quest’anno.
Recensione di Gabriella Alù
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