Un mattino a Irgalem, di Davide Longo (Feltrinelli)
Un libro diverso dai soliti questo di Davide Longo, di cui apprezzo tantissimo la serie di Bramard ed Arcadipane ma anche Il mangiatore di pietre: ambientato in Etiopia nel 1937 è un libro malinconico che ci trascina in un paese sottomesso al regime fascista, in cui gli abitanti del luogo o sono carne da macello o donne da sfruttare sessualmente. Qua si ritrova Pietro, il protagonista, avvocato torinese inviato ad Addis Abeba per difendere un personaggio scomodo, il sergente Prochet, che i superiori hanno dapprima utilizzato per spedizioni punitive nei villaggi etiopi ma che ultimamente ha ecceduto nelle violenze con una particolare efferatezza, sino a diventare scomodo tanto da essere sostanzialmente condannato ancora prima del processo, il cui esito è così scontato.
Pietro torna in Africa dopo una parentesi in patria durante la quale ha avviato una relazione sentimentale con una donna sposata e si ritrova in un ambiente in cui incontra un vecchio amico, il tenente medico Viale, con cui passa molto tempo a giocare a carte ed a fumare, con la consapevolezza dell’inutilità del suo ruolo di difensore, aggravato dal fatto che nessuno vuole raccontare granché delle vicende sanguinose compiute dall’imputato e lo stesso Prochet lo accoglie con un silenzio impenetrabile. Unico svago è il rapporto amoroso che intrattiene con una ragazza etiope, Teferi, che però è già legata ad un altro militare, ben più ammanigliato di lui.
Un libro abbastanza cupo, percorso da una sensazione di ineluttabilità, in cui la descrizione del paesaggio e degli ambienti contribuisce a trasportarci in un paese infelice, in un duro paesaggio africano, con una malinconia ed un senso di disagio, in luoghi dove può accadere di tutto, dove anche si può fare un colpo di testa, pensando di non pagarne il fio. Ma il destino infame è sempre in agguato!
Recensione di Ale Fortebraccio
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