UN PIEDE IN PARADISO, di Rash Ron (La Nuova Frontiere – aprile 2021)
Non si tratterà del “grande romanzo americano”, ma certo anche in questo si respira quell’atmosfera che (almeno secondo me) rende la narrativa statunitense contemporanea l’unica ancora capace di una dimensione epica. Anche in assenza di miti fondativi come quello del confine e della conquista, delle ferite che essa determina anche per i vincitori, del dover fare i conti con la costruzione della propria identità culturale. Identità che qui passa attraverso il legame con la terra.
Di più: attraverso l’identificazione dell’uomo con la terra nella quale è nato, nella quale sono seppelliti i suoi padri e dalla quale è incapace di strapparsi, perché sradicarsi significa morire. E infatti solo i morti rimarranno a Jocasse dopo la costruzione della diga, nonostante la decisione di traslare le salme dal cimitero. La vicenda però parla, almeno apparentemente, d’altro. Di un omicidio, di un assassino che non la fa franca nonostante per diciott’anni nessuno, tranne una vecchia pazza, abbia sospettato di lui, di come la nostra vita poggi sulle scelte che facciamo e, alla fine, ci presenti il conto.
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