UN UOMO, di Oriana Fallaci
“…E tu cosa volevi che fosse?
Un libro sulla solitudine dell’individuo che rifiuta d’essere catalogato, schematizzato incasellato dalle mode dalle ideologie, dalle società, dal potere.
Un libro sulla tragedia del poeta che non vuol essere e non è uomo di massa, strumento di coloro che comandano, di coloro che promettono, di coloro che spaventano; siano essi a destra o a sinistra o al centro o all’estrema destra o all’estrema sinistra o all’estremo centro. Un libro sull’eroe che si batte da solo per la libertà e per la verità, senza arrendersi mai, e per questo muore ucciso da tutti: dai padroni e dai servi, dai violenti e dagli indifferenti.”
L’inizio che ne segna la fine – ma è davvero la fine o solo l’inizio?- mi strazia l’anima.
Gli accordi sono categorici: gli hai detto di attendere cinque minuti esatti, non un minuto di più. Eppure…conosco gli accadimenti, so come andrà, ma tifo per te, con tutta me stessa vorrei aiutarti a nuotare più veloce, urlare con te eccomi, aspettatemi, arrivo!!! La Fallaci è neutra, spietata, così…fredda…ci racconta che la barca a motore si muove e se ne va. Ci dice che per tutto il resto della tua vita non saresti mai guarito dal ricordo ossessionante di quella barca che prende il largo senza aspettarti, arrivo, aspettatemi arrivo…La disperazione.
E’ la prima grande disperazione che leggiamo. E’ un racconto che non so immaginare descritto da altri se non da lei. Chi ne avrebbe avuto la forza? L’intensità? Il coraggio? O forse la rabbia? O la rassegnazione? O questi sono i miei sentimenti che semplicemente leggo.
Mi sento stupida. Leggo,semplicemente leggo e penso di poter sapere, penso di poter immaginare..ma non so nulla di Teofilojannacos… Sezione Investigativa Speciale della polizia militare dell’Esa: la centrale delle torture.; del colonnello Nicolas Hazizikis comandante dell’Esa: l’unico aguzzino che non avresti mai perdonato;. il tuo odio cupo, doloroso, testardo; lo scorpione che allungava l’aculeo e te lo ficcava nell’anima; del capo supremo dell’Esa Joannidis che disse è inutile: non parlerà. E ti promise la fucilazione.
E tu che confessi tutti i capi d’accusa: di aver messo gli esplosivi, di aver fatto saltare le due mine, ma ti affligge una pena: non essere riuscito nell’’intento di uccidere colui che viene chiamato presidente. Dopo aver subito l’indicibile è questa la pena a cui pensi e ripensi!
Non sei stanco di vivere, sei stanco di soffrire. Ma tu di sevizie non devi morire.
Il trasferimento alla prigione militare di Boiati..pensi sia il tuo viaggio all’inferno.
Il nuovo direttore Nicola Zakarakis non pensa che a te. Ed ecco l’idea. Girando per un cimitero vede un sepolcro a forma di cappella e capisce che per un demonio come te ci vuole solo una cosa: una tomba. Una cella con forma e dimensioni di una tomba. Praticamente un parallelepipedo dove saresti rimasto rinchiuso per quattro anni. Stavi a Gudì quando apprendesti la notizia. Di nuovo in viaggio per Boiati… accanto alla tua cella tomba c’era anche un piccolo cipressino ad aspettarti.
Dirai sempre che se quella cella non la si vede non la si può immaginare. Il buio era quasi totale.
“Tre passi avanti/ e tre indietro di nuovo/ mille volte lo stesso percorso/ la passeggiata d’oggi mi ha stancato… “
Tre passi? Se ne facevano al massimo due, e subito la testa girava dirà la Fallaci.
“Il vero eroe non si arrende mai, a distinguerlo dagli altri non è il gran gesto iniziale o la fierezza con cui affronta le torture e la morte ma la costanza con cui ripete, la pazienza con cui subisce e reagisce, l’orgoglio con cui nasconde le sue sofferenze e le ributta in faccia a chi gliele impone. Non rassegnarsi è il suo segreto, non considerarsi vittima, non mostrare agli altri tristezza o disperazione. E, all’occorrenza, ricorrere all’arma dell’ironia e della beffa: ovvie alleate di un uomo in catene. “
“NON TI CAPISCO, DIO/ DIMMI DI NUOVO/ MI CHIEDI DI RINGRAZIARTI/ O DI SCUSARTI?”
Per la Fallaci avevi assunto i volti e nomi dei tanti uomini e donne che in tutti quegli anni aveva intervistato e visto morire in giro per il mondo.
“Non avevo mai visto una tua fotografia. Non mi ero mai chiesta nemmeno se tu fossi giovane o vecchio, bello o brutto, alto o basso, biondo o bruno. … ti cercai sicura di non riconoscerti. Invece ti riconobbi immediatamente perché immediatamente le nostre pupille si incontrarono scoccando, e perché quell’uomo mingherlino, bruttino, dai piccoli occhi che bruciavano neri e i grandi baffi che spiccavano neri sul pallore malato del volto non poteva essere che Huyn Thi An e Nguyen Van Sam e Chato e Julio e Mariaghela e padre Tito de Alencar Lima. … ma era la tua voce che mi diceva: Ciao, sei venuta. … Era entrata in me come una coltellata.: gutturale, profonda, intrisa d’una indefinibile sensualità.”
“Ti amo ora e ti amerò sempre”
In fondo la morte è un’amica di chi è stanco. E’ anche una grande alleata dell’amore. Nessun amore al mondo resiste se non interviene la morte. Se vivessi a lungo, finiresti col detestarmi. Poiché morirò presto, invece, mi amerai per sempre.
Leggere questa testimonianza è estenuante. Non è piacevole. E’ un dovere morale poiché anche se non si condividono i fatti, ci insegna che non si può ignorare la forza che ciascuno di noi non sa di avere. Ho provato tante volte e tante volte non ce l’ho fatta. Tante volte ho dovuto abbandonare la lettura. Per le lacrime.
Questa è la storia di una fatica, la storia di un uomo.
E io l’ho semplicemente letta.
Recensione di Mariangela Aurilia
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