PREMIO PULITZER 1958: UNA MORTE IN FAMIGLIA, di James Agee (Il Saggiatore)
Jay è un uomo fantastico, com’è fantastica la cittadina dove vive, con i suoi viali di magnolie e i portici verniciati di bianco; è un marito affascinante e premuroso, è un padre attento e affettuoso – soprattutto per Rufus, il figlio di sei anni che gli è molto attaccato – è il fratello su cui si può contare, il vicino dalle buone abitudini. E’, insomma, un pilastro della piccola comunità del Tennessee dove tutti lo amano e lo rispettano, anzi si può dire che di quella comunità è l’immagine stessa, vitale, rassicurante e positiva.
Ma che succede quando questo modello di virtù, muore? Il romanzo racconta, attraverso gli occhi di Rufus, lo smarrimento e il dolore non solo della famiglia di Jay ma anche dell’intera comunità, che perde il suo perno.
Lo sguardo di Rufus è quello dell’osservatore attento, piccolo ma non ingenuo: sa benissimo cosa vuol dire morire e nel suo tentativo di dare a se stesso risposte per un dolore così schiacciante, osserva quello della madre, che deve fare i conti col suo nuovo ruolo di capofamiglia, analizza il senso di perdita che coglie il resto della famiglia e quello della comunità e, attraverso il dolore altrui, esprime tutto il suo cordoglio di bambino rimasto senza il suo eroe, senza il suo più importante punto di riferimento.
Una morte in famiglia è un romanzo che parla di dolore ma anche di condivisione, attraverso un racconto che, nonostante descriva una vicenda personale, assume i toni del racconto universale perché parla alla sensibilità e al dolore di ogni lettore.
Il piccolo Rufus percorre il buio labirinto del dolore e del lutto senza perdere quel senso di stupore fiabesco che è tipico dell’infanzia e che la prosa poetica e malinconica, ma mai lamentosa, di Agee sa tratteggiare con sapienza, rendendo questo romanzo una preziosa lettura per ogni momento della vita.
Recensione di Valentina Leoni
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