UNA VITA COME TANTE, di Hanya Yanagihara
Recensione 1
Il titolo originale significa letteralmente una piccola vita. Tradotto in una vita come tante. Un Charles Dickens contemporaneo trapiantato negli States. 1094 pagine. Ho comprato il libro per la copertina. Vi è la foto di un uomo che fa una smorfia. Di sofferenza. Sembra. Ma no. È un orgasmo. Ho iniziato a leggere. L’inizio è stato come rituffarmi ai tempi dell’Università, attraverso la vita di quattro amici, quattro piccole vite come potrebbero essercene innumerevoli negli angoli di New York, di qualsiasi altra cittadina d’America, del mondo. Dopo circa cento pagine avverto un certo disagio e forse mi sento impreparata. Non è una passeggiata di piacere. No. Nemmeno per Willem che porta Jude dall’amico dottore perché si è tagliato. Involontariamente, dice.
Andy è il medico che si occupa di lui da molto tempo e in modo confidenziale. E, senza conoscere il suo passato, cura le sue ferite. Soprattutto quando, come questa notte, esagera. “Sai che si procura dei tagli vero?” dice l’amico medico a Willem. “No, non lo sapevo” risponde. Ed ecco che incomincia a pervadermi una sensazione di piccolezza. Di sovraumana inadeguatezza. È la mia vita ad essere piccola piccola. E tutto quel dolore, quella nausea, quel tanto soffrire, ma! Come farò ad affrontarlo. No, son sincera. Non me l’aspettavo di finire sovrastata da questa lettura. Ancora a distanza di un anno, a riprenderlo in mano mi vengono le lacrime agli occhi. Perché Jude è ancora vivo nel suo dolore e nella sua vita e nell’amore che ha suscitato negli altri. Nel romanzo e fuori dal romanzo. No. Nel romanzo non c’è proprio niente di piccolo, vi si ritrova dentro tutta la grandezza sconfinata delle cose ordinarie, dei riti di passaggio, dei dolori più acuti e dei pianti di gioia che scandiscono le esistenze normali.
«Quante volte capita che un romanzo sia inquietante fino alle lacrime eppure così rivelatorio della gentilezza della natura umana da farvi sentire in uno stato di grazia? La seconda stupefacente opera di Hanya Yanagihara scandaglia a fondo le vite intime dei suoi personaggi e il lettore non solo ne prende a cuore il destino ma ha l’impressione di viverle in prima persona. Le sue pagine sono piene di dolore, ma ovunque emerge l’infinita capacità dell’uomo di resistere e di amare» (The San Francisco Chronicle).
In questo viaggio così straziante nelle emozioni e nel dolore, il lettore dimentica quasi il tempo, che scorre continuo e fa grandi salti in avanti, agente silenzioso del cambiamento. I personaggi si muovono in una New York a volte innevata, a volte ricoperta di foglie d’oro autunnali, attraversando anni che non riusciamo a identificare, senza mai precise date sul calendario. È così che nella parabola di quattro vite come tante, il tempo perde importanza: la narrazione non è scandita dal susseguirsi dei giorni, delle festività, dei capodanni o dei giorni del Ringraziamento, ma da quello interiore del viaggio dentro se stessi che a volte è dolore, ma anche stupore e scoperta.
Quattro sono gli archetipi, le icone della contemporaneità: Willem Ragnarsson, bello simpatico intelligente etero e anche umile, aspirante attore e intanto cameriere, Malcom Irvine, ricco e nero da parte di padre, futura archistar, J.B. Marion, figlio di immigrati haitiani, gay e ossessionato dalla performance art, e Jude St. Francis, orfano, zoppo, geniale, sedotto dalla matematica, la cui sessualità è misteriosa quanto il suo passato. Come Mary McCarthy aveva fatto per le donne ne Il gruppo, Hanya Yanagihara indaga lingua, riti e codici segreti dei suoi quattro maschi. Scoprire il segreto di Jude diventa il compito del romanzo, dei suoi amici, amanti, e di lui stesso, che lo ha sepolto molto in fondo.
Secondo Daniel Mendelsohn, che ne scrive sulla New York Review of Books, è questo il segreto del successo di Una vita come tante. La sua capacità di incarnare alla perfezione lo spirito del tempo, il sentimento che anima l’arte e l’essere umano occidentale in questo inizio di secolo: una fatale miscela di vittimismo, auto-commiserazione e sospetto di essere continuamente abusati.
È con Jude, infatti, che si arriva all’epicentro del dolore, quel luogo oscuro in cui alcuni fortunati si addentrano una sola volta in una vita e dove lui invece vive rinchiuso ogni giorno.
Come già nel suo esordio del 2013, The People in the Trees, Hanya Yanagihara racconta una storia di abusi e violenze che disarma anche il lettore più anestetizzato. Attraverso i tagli che Jude infligge a se stesso per dimenticare chi è stato e chi è diventato, ci si fa largo nella pena del suo passato e si impara a nominare la sofferenza, sempre con meno paura, sempre con meno vergogna.
È riduttivo scrivere che Una vita come tante parla di amore e di amicizia: i due sentimenti cardine delle nostre esistenze sono sottoposti a un’analisi così attenta da sembrare quasi un esame diagnostico, con l’obiettivo di metterne a fuoco ogni sfumatura e di accettarne le più intime contraddizioni; il risultato a volte disturba.
È un romanzo di uomini scritto da una donna: sono loro i protagonisti, mostrati nelle grandezze e nelle mancanze. È una storia di bambini che diventano adulti senza essere pronti, né accompagnati e accettati. È stato definito un inno all’amore omosessuale, in realtà è molto di più: mostra l’amore nella sua dimensione più universale e transgenerazionale, come il tentativo disperato di trovare pace in questa vita, affidandoci all’idea di guarigione.
Nelle storie di Jude e dei suoi amici c’è in fondo l’accettazione dell’imperfezione dell’amore, anche nel dolore e nell’autodistruzione. Sempre viene voglia di abbandonarvisi, di sbagliare un’altra volta, di essere ancora cullati da questo dolce sbagliato richiamo. Umano. Solo l’amore è sinonimo di salvezza. Anche quando non riesce a salvarci dalla morte. Perché quello che conta è quello che siamo e quello che proviamo.
I consigli del Caffè Letterario Le Murate Firenze, di Sylvia Zanotto
Recensione 2
Questo è un libro da leggere , assolutamente.
Inizio subito col scrivere che è forse il libro più bello che ho letto almeno negli ultimi 5 anni. Anzi senza forse.
Hanya Yanahihara ci racconta con una bravura commovente la storia di quattro ragazzi alle prese con gli anni universitari, la loro amicizia e le loro ambizioni.
Willem, JB, Jude e Malcom ci accompagnano per le strade di New York e insieme a loro, pian piano, impariamo a conoscerli, a ridere con loro, a servirci dei loro racconti per ricordare che quelli sono anni unici, e l’affaccio al mondo adulto che inevitabilmente porta con se non solo speranza e ambizione ma spesso dolore.
Il dolore, fisico, spirituale, emotivo, ci farà da accompagnatore lungo tutto l’intreccio che dura oltre 1000 pagine, ma questo è un libro che non finisce.
La storia ben presto si concentrerà prevalentemente su Jude, attraversiamo la sua vita, i suoi successi e torniamo indietro alla sua infanzia con grande tatto, talvolta il tempo di una frase ci sposta di decenni e ci mostra il talento davvero unico dell’autrice.
Mi fermo qui perché scoprire la trama è parte essenziale di questo romanzo, tutto deve accadere solo mentre lo si legge.
E’una storia che resta li, appiccicata alle ossa, che richiede tempo , tempo per essere metabolizzata e tempo per andarsene.
Recensione di Simona Bettin
Si consiglia di leggere anche l’articolo dove il libro viene messo a confronto con MISTERIUS SKIN, di Scott Heim
UNA VITA COME TANTE Hanya Yanagihara
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