UNDERWORLD, di Don DeLillo
Non sarà mai chiusa la diatriba sul Grande Romanzo Americano e chi l’abbia scritto, per certo, a mio avviso, Underworld di Don DeLillo, può essere considerato il Grande Romanzo Universale, quello che interessa il mondo intero e che i figli dei figli dei nostri figli ritroveranno nelle loro antologie scolastiche alla voce Postmodernismo.
Il libro si apre con un prologo che fa rimpiangere di non essere americani, non per affezione ma per meglio avvertire le vibrazioni della folla in delirio per il fuoricampo di Bobby Thomson su lancio di Ralph Branca dei Dodgerr nella storica competizione tra New York Giants e Brooklyn Dodgers del 3 ottobre 1951 al Polo Grounds di New York che ha segnato un momento memorabile del baseball, sport americano per antonomasia, pressoché sconosciuto alle nostre latitudini.
Alla partita son presenti personaggi di ogni genere ed estrazione, alcuni noti poi passati sulle pagine dei libri di storia, come J. Edgar Hoover, ossessionato da un dipinto: Il Trionfo della Morte, la cui riproduzione in un volantino pubblicitario gli capita tra le mani nel corso della partita (dando il titolo al primo capitolo).
Sugli spalti popolari c’è un ragazzino di colore, Cotter Martin che ha marinato la scuola e scavalcato i tornelli per assistere all’evento, è lui, il fortunato che intercetta la pallina del fuoricampo e la pallina sarà il filo conduttore che passando di mano in mano, rubata, venduta, barattata, regalata, per quasi 40 anni, dall’inizio della Guerra Fredda al ’92, tesserà l’ordito di questo immenso affresco della storia americana e mondiale.
Lo stesso giorno della partita accade un evento epocale di ben altra portata: I russi completano il loro secondo test nucleare e il boato si mescola e si confonde col boato della folla in un simbolismo cupo che pervade tutto il libro, un senso di minaccia incombente che accompagnerà tutta la narrazione.
“Tra loro c’è anche J. E. Hoover. Sta guardando dall’ampio corridoio in cima alla rampa. Ha detto a Rafferty che resterà alla partita. Andarsene non servirebbe a niente. La Casa Bianca darà la notizia tra un’ora. Edgar odia Harry Truman, gli piacerebbe vederlo contorcersi su un parquet, stroncato da un attacco di cuore, ma non può criticare il presidente.
Dando la notizia per primi, impediremo ai sovietici di presentare l’accaduto a modo loro, indorando la pillola. E in una certa misura allenteremo la tensione del pubblico. La gente capirà che abbiamo conservato il controllo delle notizie, se non della bomba, che è già qualcosa” (Underworld, p. 23, Il trionfo della morte.)
Nulla viene trascurato della storia e della società americana del secondo novecento: l’assassinio di Kennedy, la guerra fredda, lo scandalo Watergate, la guerra del Vietnam, le feste epocali della NY di Andy Warhol e Truman Capote, le performances satirico-scatologiche del comico Lenny Bruce, il fermento artistico del Village, gli accadimenti nei camerini durante i concerti dei Rolling Stones, ciascuno visto da prospettive e occhi diversi, talvolta inaspettati.
DeLillo è un autore generoso, non lesina la condivisione di sé stesso, impossibile non riconoscerlo in Nick Shay, imprenditore della spazzatura; ultimo possessore della palla e unico personaggio del romanzo ad avere diritto alla prima persona.
Attraverso gli occhi di Nick, lo sguardo di DeLillo decolla da New York per estendersi sul pianeta ad osservare l’intrico di collegamenti che determinano gli eventi sociali e naturali che lo muovono.
Uno storico fuoricampo in uno stadio americano e un test nucleare in Russia, il progresso che esige materia che brucia e produce scorie che ritornano e ci sommergono, l’uomo stesso è un elemento deperibile destinato a trasformarsi e i rifiuti che si accumulano in misura esponenziale, sono destinati a entrare a far parte dell’industria che li sfrutta, li commercia, ci specula ma è incapace di contenerli.
“Mannaggia l’America. In questo maledetto paese la spazzatura è buona da mangiare, più buona di tanta roba che si mette in tavola in altri paesi. In questo maledetto paese ci puoi arredare la casa e nutrire i figli, con la spazzatura”
L’avvento della rete (siamo nel 1992) ci inonda di informazione ma ci rende sempre più incapaci di comunicare.
“Non ci sono spazio o tempo qua fuori, o qua dentro, o dovunque sia. Ci sono solo collegamenti. Tutto è collegato. Tutto il sapere umano raccolto e collegato, ipercollegato, questo sito porta a un altro, questo fatto rimanda a un altro, una cliccata di mouse, una parola di identificazione – mondo senza fine, amen.”
DeLillo è ben fermo sul presente e proiettato nel futuro: ha saputo vedere tutto con decenni di anticipo, dall’attacco alle torri all’esplosione della bolla finanziaria fino all’odierno assalto al potere da parte dei guitti che imperversano sul pianeta da oriente a occidente.
Finanche la scelta della copertina è sinistramente premonitrice: unico caso editoriale in cui non sia mai stata cambiata dall’esordio né per il mercato americano né per quello d’oltreoceano. Una fotografia scattata da André Kertésez nel 1972 dalla finestra del suo appartamento di New York, la cui quasi totalità è occupata dalle Torri Gemelle, alla base delle quali campeggia una croce romana, installata sulla cima di una vecchia torre campanaria.
Per leggere Underworld è indispensabile un bagno di umiltà. Passato il primo avvincente capitolo, ci son volute 150 pagine per spegnere il mio sorrisetto da “lettore scafato”, l’aria da “Che sarà mai”.
Underworld è un libro che richiede attenzione e concentrazione, che induce alla riflessione e alla ricerca continua. L’architettura stessa del romanzo lo richiede. Nuovi personaggi si introducono senza presentazione e spariscono per centinaia di pagine per poi riproporsi dove non li aspetti; i salti temporali sono continui e inizialmente disorientanti, tali da richiedere uno schema di lettura. Ogni capitolo è anche un saggio di filosofia, ecologia, comunicazione, arte.
La sensazione è quella di trovarti di fronte alle opere d’arte più complesse che siano mai state realizzate: le piramidi dell’antico Egitto: stanze che si intersecano con corridoi che scivolano su se stessi e si incastrano chiudendo porte alle spalle e disseminando il percorso di trappole letali a protezione della camera del tesoro.
Lo sforzo è arduo ma edificante, DeLillo pone nelle mani del lettore fili apparentemente insignificanti e ingombranti, ma arriva il momento in cui sai come tirarli e tutto, magicamente va a posto nel gioco di incastri ricompensando e sollevando l’anima.
La chiusa è un rutilante susseguirsi di pagine travolgenti, devastanti, che portano inesorabilmente all’ultima parola del libro: Pace, omologa di Fine.
Leggi Underworld, lo leggi davvero, e non sei più lo stesso, sei cambiato come lettore ma anche come persona, impossibile non identificarsi, non riflettere su ciò che ti è messo davanti e ti entra sotto la pelle.
Underworld è il vero, grande fuoricampo della Letteratura Universale contemporanea.
Recensione di Carmen Eisabeth Bonino
Presente anche nei consigli dalle librerie – 6 puntata
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