VENDUTE!, di Zana Muhsen Mondadori)
La violenza è impensabile da parte di un genitore. Eppure tante bambine, adolescenti ne sono ancora vittime. E se non muore questo seme, facciamone germogliare tanti altri. Che crescano inondati di amore. Chissà che alla fine non si modifichi il seme maligno…
L’intervista a Elena Ferrante da parte della giornalista iraniana, Shiva Akhavan Rad, realizzata per la rivista “Cine-Eye” e pubblicata su Robinson di sabato 26 novembre sottolinea in maniera netta come il patriarcato abbia instillato, diffuso e istigato innumerevoli forme di violenza nei confronti delle donne. Pensiamo al linguaggio, alle parole, oppure ai gesti o ai comportamenti e ci accorgiamo che siamo finemente intessuti in una ragnatela di stampo patriarcale, dove istruzione e vite professionali così come la privacy e la vita quotidiana a casa seguono stereotipi difficilmente modificabili. Per esempio: se mio marito cucina, chi lava i piatti? La sottoscritta. Se cucino io, chi li lava? Sempre la sottoscritta.
Negli anni Settanta, ero una femminista convinta, seguivo le lotte per l’aborto e partecipavo di nascosto dai miei genitori alle manifestazioni in piazza. Mi ricordo che dopo pranzo, mentre io (e non mio fratello) lavavo i piatti, veniva a farmi compagnia un ragazzo nostro coetaneo che abitava nello stesso palazzo. Lui, fascista, io, comunista e femminista, eccoci impegnati in discussioni accese sui temi scottanti del momento, senza però modificare i nostri comportamenti quotidiani. Lui seduto e io a faticare.
Eppure, sebbene conscia di tutti questi paradossi, ci rimango – ci sono rimasta – dentro, non dico che ci sto – che ci sono stata – bene, ma è più facile lasciare tutto com’è, non ribellarsi, accettare modi di fare maschili impropri e poi magari portare le nostre ideologie a livelli alti e pubblici, aderendo a migliaia di associazioni per la tutela dei diritti umani, per l’ascolto delle vittime di stupro, partecipando alle marce di protesta.
Il nocciolo non lo sputiamo, lo ingoiamo e poi abbiamo il mal di pancia fisso. «Ancor oggi in Italia, una donna che tradisce, o abbandona il partner per un altro uomo, mette la sua vita in pericolo. No, no, dobbiamo allenarci a non scambiare il maschile per l’universale.» si ribella Elena Ferrante, come Lila e Lena, le protagoniste della saga “L’amica geniale”. Come loro, nemmeno noi siamo libere e riusciamo ad esprimerci facendo a meno della sintassi patriarcale. Eh no: «non saremo mai veramente libere finché dovremo esprimerci in ogni campo dall’interno in forme di vita essenzialmente maschili.»
“Vendute!” è una storia del secolo scorso, ma ancora terribilmente attuale. La forza di questo libro è lo spirito ribelle e di lotta che anima la vittima e che la aiuterà a non mollare mai, a perseverare, a credere in un futuro diverso.
Siamo nel 1980. Zana Muhsen ha 15 anni vive a Birmingham, ha un fidanzato, fuma e si sente felice della sua vita, piena di aspettative per la vacanza che suo padre ha organizzato per lei e per sua sorella Nadia, nel suon paese d’origine, lo Yemen. Già in aeroporto, Zana incomincia a sentirsi invadere da una strana sensazione che attribuisce alla paura del volo, ma che in realtà è come un presentimento di quello che le sta per accadere. L’inferno. Il viaggio non finisce mai, non si può lavare, né può mangiare, e solo dopo giorni e giorni, addentrandosi nelle montagne più remote dello Yemen, arriva a destinazione e scopre brutalmente la realtà. Suo padre l’ha venduta. Così sua sorella Nadia.
Le due sorelle sono quindi trattenute in una zona arretrata dello Yemen del Nord. Dopo poco, si vedono costrette a sposare due loro coetanei, a vivere come schiave. O sono segregate in casa per svolgere lavori faticosi, o vengono spinte in sentieri pericolosi per andare a prendere l’acqua.
Inizia così per loro una vita di stenti e di soprusi, di violenza e di isolamento; comunicare con la loro famiglia a Birmingham è impossibile, ogni possibilità di riscatto un’ipotesi remota. Solo Zana, dopo anni, riuscirà a fuggire e a tornare in Inghilterra, lasciando suo figlio a sua sorella, che invece non sopporta l’idea di separarsi dai figli e preferisce rimanere prigioniera pur di stare con loro.
Zana inizierà una lunga battaglia per riavere con sé il figlio e liberare anche la sorella, scriverà la sura storia e s’impegnerà a diffonderla, viaggiando in tanti paesi per presentare il libro. “Vendute!” è diventato un enorme successo internazionale, tradotto in diverse lingue e ristampato tantissime volte in tutti i paesi.
Così riflette nel libro: «Io, Zana, ho il dubbio privilegio di essere un ostaggio liberato, colei che ha avuto la fortuna di infilarsi attraverso le sbarre della prigione. Ma dentro il cuore si resta sempre ostaggi: il ricatto, la violenza, la privazione della libertà segnano per sempre un essere umano. Coloro che sono rimasti laggiù, mia sorella, mio figlio, vivono in me come dei pugnali piantati nella carne. Soffro la loro sofferenza, la mia libertà non ha senso senza la loro.» Una ferita profonda, che sanguina ancora di più se pensa al futuro del proprio figlio, lontano da lei: «ho messo al mondo un bambino, Marcus, non Mohammed, che è nato dal mio ventre, dal mio sangue, dal mio dolore. E il frutto di una violenza durata otto anni, ma è mio. Ho pure il diritto di dividere con lui la mia cultura in modo che più tardi possa scegliere la sua.»
Soltanto nel 2015, dopo infiniti sforzi tornano in Inghilterra anche la sorella e i bambini. Finalmente Zana riabbraccia suo figlio. Una gioia immensa. E pensando alle tante altre donne che hanno subito, subiscono o subiranno lo stesso tipo di violenza, invita le sue lettrici a non rimanere indifferenti: «a colei che ha appena letto questa storia e sta per chiudere il libro, dico: non lo dimenticare, aiutami, lascia che risuoni in te il mio grido e quello di tante altre donne, tutte quelle che la legge dimentica e tradisce, dove il diritto è fatto dagli uomini e per gli uomini, che le considerano meno che bestie e rubano loro corpo, anima e figli.»
Un grido, un graffio, una richiesta di aiuto. A me, lettrice, rimane un grande senso di impotenza, di ingiustizia. Per tutti un vuoto da colmare. Una cultura da reinventare. Purtroppo non basta un giorno da dedicare alla lotta contro la violenza sulle donne. Bisogna averlo in mente tutto l’anno e ogni singolo giorno dell’anno deve diventare il tempo di questo impegno.
Nel dubbio, ricordiamoci sempre cosa accadde il 25 novembre 1960, nella Repubblica Dominicana! Furono uccise tre attiviste politiche, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa) per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Quel giorno le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare, e poi stuprate, torturate e strangolate. Gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.
Tutto ciò è terribile e purtroppo ancora da combattere. Suscita un’immensa rabbia. Come accade ancora a Zana: «la mia collera è sempre viva, rifiuto di essere un vulcano che muore sotto la lava, e ho solo questa vita per battermi.»
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto
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