VICO. Quanto torno ti porto un fiore Nicoletta Manetti

Vico. Quando torno ti porto un fiore, di Nicoletta Manetti (SoleOmbra)

Fiction o non-fiction? “Vico” è definito dall’autrice romanzo, perché laddove la storia non ricorda, fa capolino la fantasia e le parole della fantasia contribuiscono a costruire un ritratto autentico, realistico, veritiero. Vico si staglia dalle pagine del libro. Sin dall’inizio, lo vediamo, lo sentiamo, lo respiriamo. Così come il mondo intorno a lui. Solo le parole ricercate di un tempo perso sono in grado di rievocare con poesia e realismo il passato, il nostro passato prossimo, un tempo che fu e che ci riguarda, perché da lì noi veniamo.

Vico Quando torno ti porto un fiore

La storia evocata in “Vico” è un vero bijou: Nicoletta Manetti è riuscita a recuperarla e a farla brillare grazie alla sua capacità narrativa. La narrazione attribuisce alla scrittura la sua unicità che distingue nettamente un’opera letteraria da un bollettino di cronaca. Il Vico qui ritratto è quindi sia quello vero, quello di cui si ripercorre tutta lo storia, ma è anche quello letterario creato dalla penna della scrittrice, la sua parte immortale. Rimarrà sempre vivo nelle pagine del libro e nel cuore dei suoi lettori. La stessa autrice distingue chiaramente le due figure: «C’è la storia vera, ma c’è anche il romanzo, perché molte cose ovviamente le ho solo potute immaginare. È proprio questa combinazione che mi ha fatto innamorare della scrittura.

Un romanzo in cui la storia dell’Italia del ‘900 la si vive attraverso la “piccola storia” di un uomo e della sua famiglia.» Una famiglia la cui storia inizia in Spagna nel lontano 1841. A Granada il bisnonno Manetti s’innamora di Asunción, una bellissima donna spagnola, oggetto di baratto fra uomini ma la cui domanda: «Tu donde?» (p.8) fa intuire carattere e determinazione, quasi fosse stata lei a scegliere il suo destino, lasciando credere a padre e futuro marito l’inverso. Lodovico nasce il 4 giugno 1889, «arrivò dopo altri dodici figli o, meglio, dodici parti perché non tutti i nati sopravvissero» (p.10) In questa breve frase c’è tutto un mondo brulicante di gravidanze, nascite, aborti spontanei e morti di bimbi piccoli: una crudele realtà che riguardava tutte le donne contadine di quegli anni.

D’altronde all’epoca «non c’erano molti svaghi all’infuori di una partita a briscola, per cui la sera non rimaneva che bere qualche bicchiere di vino schietto di Carmignano e andare a letto, ma subito non si prendeva mai sonno.» (p.10) Una scrittura genuina come il vino, con immagini nitide e a tinte forti, d’impatto sui sensi: «gli sembrava essere dentro una vecchia cassapanca di legno: rimbombava un gran russare quasi a ritmo con la pendola» (p.14). E ancora un esempio ammirevole: «la famiglia rimase come grappoli spogliati, solo raspi stecchiti.» (p. 19) Infine, le pennellate non risparmiano nessuno: «in trattoria il sor Ottavio era aiutato dalla moglie, che aveva una pelle traslucida di lumaca e tanti peli sul viso – addosso si poteva solo immaginare – da far pensare a una grossa cinghialessa.» (p.27)

Ma chi era Vico? A questa domanda, l’autrice risponde così: «Vico era una persona curiosa, intelligente, un autodidatta volenteroso. Da adulto ha frequentato pittori, amava l’opera lirica, si divertiva a scrivere poesie, ma non era un poeta. Era un pragmatico, uno che ha dovuto cavarsela da solo, un uomo della generazione del sogno americano, in cui se una persona si metteva in gioco poi poteva tornare al paese di origine con la macchina e comprarsi la casa in campagna. La generazione che ha vissuto entrambe le guerre mondiali, la prima da protagonisti, la seconda da sfollati, poi impegnati nella ricostruzione. La sua storia mi ha affascinato non solo e non tanto perché era quella di mio nonno, ma perché mi ha accompagnato a conoscere e capire un’epoca. Come la sua, credo che ogni vita di quel periodo meriterebbe di essere raccontata.» Il racconto è fondamentale per rendere la memoria patrimonio di tutti. E non solo.

Quasi alla fine del libro, scopriamo altri livelli e chiavi di lettura. Ricercare la propria identità e ritrovarla nella propria famiglia è stato un momento cruciale nella vita di Nicoletta Manetti. Per lei il nonno è stato il “traghettatore” che l’ha portata da una sponda all’altra, da un’identità all’altra. È colui che le ha fatto scoprire di essere una scrittrice. Vico prima di morire scrisse la sua vita e alcune poesie e ne fece stampare delle copie: «Oggi so, sento che fu in quelle ore che io, sua nipote, venni concepita. ecco, quindi scrisse per me, oggi voglio pensare. Io stavo arrivando, lui stava preparandosi ad andare.» (p.159). E questo è solo l’inizio: alla domanda di Asunción, la narrazione tace. Ma la scrittrice mostra. Dipinge un percorso di vita che inneggia all’amore, che parla di coraggio e di scelte di vita. La sua ricerca continua, oltre le parole del libro, oltre la figura del nonno, perché la scrittura non si ferma. Va avanti, il tempo non ritorna, il ‘tu donde?’ è una proiezione verso il futuro, ma la struttura del romanzo è circolare e ci riporta all’inizio, a una lei che beve alla fonte, come nell’incipit del romanzo. La fonte della vita e della creatività. Una memoria che come quella di Proust si traduce nel suo divenire e nel suo trasformarsi in parole scritte.

VICO. Quanto torno ti porto un fiore Nicoletta Manetti
Vico Quando torno ti porto un fiore

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