VITE MINUSCOLE Pierre Michon

VITE MINUSCOLE, di Pierre Michon (Adelphi – maggio 2023)

Di quei libri di cui staresti a parlare per ore, senza stancarti. Talmente unico, inarrivabile, da gettarti addosso una manciata di stupore.

«Fradicio di magia», dice di sentirsi l’Avvocato di Asti, in una delle sue più belle canzoni. Qualcosa di molto simile accade, durante e dopo la lettura di questo libro. Ci si sente fradici, imbevuti. Impregnati.

«Ritiene, purtroppo, che la gente più umile sia quella più vera». Basterebbe questa citazione in esergo, per riassumere in poche parole questo libro straordinario.

Le “Vite minuscole” del titolo sono otto racconti che contengono altrettanti profili (dieci, per la precisione), ritratti di gente umile, “minuscola”.

Esistenze salvate dall’oblio, strappate a un qualche Dio della Dimenticanza, sottratte a quell’anonimato a cui sarebbero certamente state destinate, considerata la loro modesta natura.

Vite ordinarie rese straordinarie, immortali.

Come già in Sherwood Anderson nei “Rracconti dell’Ohio, c’è un filo che lega fra loro i singoli racconti. Il narratore, sempre lo stesso, ha conosciuto quelle vite, ne ha fatto parte. Alcuni sono suoi parenti; altri, compagni di infanzia; altri ancora, conosciuti solo dai racconti dei nonni, o della gente del paese.

Resoconti che spesso non hanno una conclusione certa, perchè in alcuni casi non si conoscono le circostanze ultime della scomparsa, o perchè su alcuni fatti e svolgimenti, si possono solo formulare ipotesi.

Eccolo dunque lo scrittore, alle prese con quel mistero che è la creazione artistica. Davanti a un foglio bianco, la sua penna traccia esistenze, disegna profili, ricorda, immagina e inventa. Spesso arrotonda, arricchisce, regala un destino, abbellisce una morte (come vent’anni prima aveva fatto Faber per la sua Marinella), rendendola un momento lirico, un’esperienza poetica.

Lo fa con uno stile aulico, dal suono volutamente antico, ricercato. Le pagine sono architetture perfette, basta sottrarre un agettivo, spostare una virgola, ed ecco che tutto crolla.

«Possa uno stile appropriato aver rallentato la loro caduta: la mia sarà forse più lenta; possa la mia mano aver dato loro la facoltà di aderire nell’aria a una fugacissima forma dalla mia sola tensione creata; possano prostrandomi aver vissuto, in modo più autentico di come viviamo noi, quelli che a malapena furono e così poco torano ad essere. Possano, forse, essersi manifestati, sorprendentemente. Nulla mi appassiona quanto il miracolo. […] Possa, nelle mie finte estati, il loro inverno indugiare. E nel conclave alato che si svolge a Les Cards sui ruderi di ciò che avrebbe potuto essere, tutti loro siano».

Molto altro si potrebbe dire, ma sarebbe fare un torto a un capolavoro di rara bellezza. Forse sarebbe meglio lavorare per sottrazione, togliere e togliere. Chiudere e sfumare, lentamente. Lasciare che sia l’opera a rivelarsi. Sì, decisamente meglio.

Pierre Michon

“Vite minuscole”

Adelphi.

Recensione di Valerio Scarcia

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