ZUCKERMAN SCATENATO, di Philip Roth
Cosa succede se uno scrittore famoso incontra l’Uomo Gatto?
Cioè quel tipo del quiz televisivo Sarabanda, quello di Enrico Papi, il classico sciroccato che indovina tutte le canzoni perché ha una memoria fotografica (tipo carta moschicida, scrive Roth) ma per il resto non è proprio in bolla.
Succede poco o niente, a dire il vero.
Duole dirlo, ma quando scrittori e registi famosi entrano nella spirale del raccontare le proprie pene di persone di successo che non possono nemmeno più mangiarsi un piatto di pasta alla tavola calda senza venire importunati dai paparazzi e altre amenità simili, la questione per noi del popolino si fa un po’ fumosa.
In questa storia dunque il protagonista Zuckerman, scrittore ormai all’apice del successo, incontra l’Uomo Gatto, che invece è uno che il successo l’ha conosciuto per qualche settimana ma poi è tornato nell’inferno dell’anonimato.
A livello autobiografico Roth rievoca la sua storia di successo personale con la pubblicazione di Lamento di Portnoy (trasformato nella finzione letteraria in un romanzo dal titolo mesmerico di Carnovsky) e varie sono le considerazioni su come un libro del genere abbia cambiato il rapporto dello scrittore in carne e ossa con la realtà che lo circondava.
L’Uomo Gatto in questo senso incarna la visione della gente comune in merito al rapporto tra verità e invenzione narrativa. Visione un pochetto paranoica, a dire il vero.
Infine, la copertina tende a suggerire il tema dell’autosabotaggio. Tema effettivamente presente nel romanzo ma non in misura così determinante da valere il primato della prima pagina.
E poi l’aggettivo “scatenato” secondo me contrasta con l’idea di una persona che si siede su un ramo con lo scopo di precipitare. Mi sarebbe sembrata più sensata l’immagine di un uomo che sega dalla base un albero su cui è installata una bella casettina di legno. Che da bravo pazzo insensibile decide di distruggere..
ZUCKERMAN SCATENATO ☆ Philip Roth
Recensione di Marcello Ferrara Corbari
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